Ad un centinaio di chilometri dal confine con l’Algeria, perennemente sospinta dal vento, la cittadina di Zagora ospita ancora oggi la leggendaria insegna che indicava la direzione di un’antica pista carovaniera per la città di Timbuctù, raggiungibile in 52 giorni a dorso di dromedario.
Zagora, conosciuta anche come “la porta del deserto”, si raggiunge da Marrakech attraversando il deserto del Sahara che svela, a tratti quasi magicamente, i suoi scenari più poetici, come la valle delle rose ed un campo di mandorli, luoghi talmente belli da essere diventati i set cinematografici per i film cult “Lawrence d’Arabia” e “Il tè nel deserto”.
Raggiungere Zagora è un’esperienza che ha del leggendario. In mezzo alle oasi e tra le tribù berbere che la popolano regna una vera cappa di misticismo. Al tramonto i colori si fanno più intensi e più speziati ed il cielo sembra così basso da poter essere toccato con un dito. In occasione del mio viaggio a Zagora, molti anni orsono, scrissi una poesia che si trova nelle mia prima raccolta e che si intitola Tramonto Sahariano.
Tramonto sahariano:
non spreco una parola di rimpianto.
Il corpo veste in dorata trasparenza,
l’essenza si esplica nell’ immutabile sogno.
È solo questione di attimi:
vivida l’immagine ora non è più quella.
Più bella muta ad ogni lieve folata.
Soffiata da un vento,
maestro di artistiche dune.
Perenne mutamento,
dispensi tu le fortune di chi ti invade.
Angela Mariotto
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