Oggi il piccolo museo dedicato alle opere di Ambroise Fleury, a Cléry, rappresenta soltanto un’attrazione turistica minore. Perlopiù i visitatori ci vanno dopo un pranzo al Clos Joli, che tutte le guide di Francia sono unanimi nel celebrare come uno dei luoghi d’eccellenza del paese. Le guide comunque segnalano l’esistenza del museo con la dicitura «merita una puntatina». Nelle sue cinque sale si trova la maggior parte delle opere di mio zio che è sopravvissuta alla guerra, all’occupazione, alle battaglie della Liberazione e a tutti gli accadimenti e a tutti i cedimenti che il nostro popolo ha conosciuto.
Indipendentemente dalla loro zona d’origine, tutti gli aquiloni sono frutto dell’iconografia popolare e questo fa sì che abbiano sempre un aspetto un po’ ingenuo. Quelli di Ambroise Fleury non fanno eccezione alla regola: anche i suoi ultimi lavori, eseguiti in vecchiaia, hanno mantenuto quest’impronta di freschezza d’animo e d’innocenza.
(Romain Gary, “Gli aquiloni”, Neri Pozza, 2017)
Non è un libro recentissimo, quello di cui vi parlo oggi, ma non si devono cercare le novità a tutti i costi. Si devono cercare invece i buoni libri, e questo è un buon libro. Inoltre, particolare non secondario, ha pure una sua attualità, per l’ambientazione, dentro la seconda guerra mondiale, dentro la Francia occupata dai nazisti, dentro la resistenza francese. É un racconto dove la guerra fa da sfondo continuo, inquietante, alle vicende umane, anche nelle premesse, che condizioneranno la vita e le scelte dei protagonisti
Si tratta di una storia ambientata nella Francia occupata dai nazisti, una pagina sempre un po’ scomoda per i francesi (ci furono un governo-fantoccio, molti collaborazionisti), che Gary affronta dalla prospettiva di una serie di personaggi sospesi tra l’assurdo e il realismo. Da Ambroise Fleury, costruttore di aquiloni con effigi di politici e militari, al titolare del Clos Joli che si ostina a difendere la grandeur stando dietro ai fornelli, per arrivare al protagonista Ludo e alla sua fenomenale memoria, fino alla bella ricca e scombinata Lila, è tutto un teatro, che però ha lo sfondo dellaseconda guerra mondiale (prima, durante e dopo). Anche gli aquiloni, nella loro leggerezza, possono diventare pesanti. Come pesante sarà sopravvivere, amarsi, difendersi, ritrovarsi, ricominciare. E se il nemico è il tedesco, può esserlo anche come rivale in amore (quasi uno stereotipo in un antagonismo plurisecolare).
Gary sapeva quel che scriveva, avendo combattuto nella resistenza francese, ma la gran parte della sua produzione fu pubblicata con pseudonimi e solo dopo la sua morte (si suicidò, nel 1980, per “scansare” vecchiaia e malattie) si scoprì la verità. Leggere “Gli aquiloni” mi ha ricordato, in alcuni passi, “Suite francese” di Irene Nemirovsky, soprattutto perchè, pur nella diversità delle trame, lo sfondo comune ad entrambi della guerra mondiale è la condanna dell’insensata carneficina che provocò nonchè il peso degli orrori e della disumanità vissuta e/o subita che gravò sui sopravvissuti.
Tutto questo dovrebbe insegnare (ma quando mai si impara qualcosa dalla Storia!) che nelle guerre non ci sono vincitori o vinti, perchè perdono tutti. Anche in questo sta l’attualità ed il valore della buona letteratura.
Gianluigi Coltri
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