(UNA CUCINA QUALUNQUE.
GWEN, UNA DONNA DI MEZZA ETÀ,
PARLA RIVOLTA ALLA MACCHINA DA PRESA)
Si è tirato su i pantaloni.
Ha detto: «Mi hai fatto un favore. Non sarei riuscito a farlo vedere a nessun altro».
«Be’, spero bene» gli ho detto io.
«Difficile che succeda» ha detto. «Per adesso non c’è richiesta».
Torna a casa da scuola un po’ giù di corda e va a rintanarsi di sopra, in camera sua, senza nemmeno passare a saccheggiare il frigo: ecco perché intuisco che qualcosa non va. Ascolta un po’ di musica, poi scende a piedi nudi mentre sto stirando. Si siede al tavolo e mi guarda: già questo è un evento. Di punto in bianco si alza e dice:
«Mamma, devo farti vedere una cosa, ma sarà l’ultima volta».
Si slaccia i pantaloni e si abbassa i boxer. Mi fa: «Cos’è questo?».
Non era niente, in sintesi. Non ho neanche capito dov’era il problema finché non me l’ha indicato col dito: un brufoletto. È dal resto che non mi sono riavuta. Non l’avevo tenuto sotto controllo; non so da quanto tempo non lo vedevo, ma lui doveva avere dodici anni, non di più. Ora ne ha appena quindici, ma che ne sapevo?
Ha detto: «Sei sicura?».
Gli ho risposto: «Michael, amore, è un foruncolo, cosa vuoi che sia?» e gli ho dato una pomata da metterci sopra.
Si tira su i pantaloni alla svelta.
(Alan Bennett, “Una donna qualunque – Due monologhi”, Adelphi, 2022, trad. Mariagrazia Gini)
Ma c’è chi scrive ancora per il teatro? In Italia, proprio non saprei (ci ho provato io, ma non vorrei parlarme). All’estero, specie in Gran Bretagna, mi pare ci sia più vitalità: da Tom Stoppard a Michael Frayne, da Noel Coward a Harold Pinter (senza scomodare Beckett) c’è una vitalità invidiabile. Ci possiamo aggiungere anche Alan Bennett, anche se i due monologhi contenuti nell’edizione Adelphi sarebbero stati pensati per la televisione, ma in teatro funzionerebbero benissimo.
Nel primo, “Una donna qualunque”, troviamo Gwen che racconta quello che le è capitato con il figlio, di cui ha visto i genitali per valutare un brufoletto cresciuto proprio lì. Ma è sul “lì” che si concentra l’attenzione della donna, che ne rimane turbata, a prescindere dal fatto di essere la madre. Come donna, intendo, turbata. E non aggiungo altro, se non che la scrittura di Bennett è fantastica nel tenere tutto in equilibrio, tra sensi di colpa (“Una signora di mezz’età non pensa a queste cose”), dinamiche famigliari (c’è un padre, dopotutto, e c’è pure una sorella guastafeste), prudori e pensieri un tantino incestuosi…
Nel secondo monologo, intitolato “L’altarino”, di nuovo è una donna a raccontare la sua elaborazione del lutto per la scomparsa del marito, che si è schiantato con la moto, e forse non era solo. E per di più la polizia scopre qualcos’altro, un tantino imbarazzante. La vedova oscilla tra il rendersi conto di non conoscere così bene l’uomo che ha sposato e che è defunto e, invece, l’ostinazione a raccontare (e a raccontarsi) secondo la sua verità.
Sapido, irriverente, pungente: Bennett ha tutti i mezzi narrativi, ma soprattutto la capacità far stare molti spunti (sociali, culturali, sessuali, religiosi…) nel breve scorrere di un monologo.
Buona giornata a tutti
Gianluigi Coltri
Play | Cover | Release Label |
Track Title Track Authors |
---|