La mia chitarra piange dolcemente mentre mi torna alla memoria il ricordo di George, morto il 29 novembre di vent’anni fa. Una persona splendida, nonché un chitarrista eccezionale, a differenza del pensiero comune. Lui e Ringo sono sempre passati in secondo piano quando si pensa ai Beatles; non si dimentichi però che erano anch’essi musicisti capaci e all’altezza degli “scarafaggi”. Ambasciatore inglese della pace: grazie alla sua passione per la cultura e filosofia indiana, ha importato in Gran Bretagna suoni e colori orientali. Apprendista di Ravi Shankar, ha incantato i fans con il suo sitar, unendolo in maniera perfetta e mai esagerata a quello che era il rock inglese e anzi, formando nuove melodie, ha portato la band ad esplorare il mistico universo del psychedelic e progressive rock. Aveva 58 anni ed era molto malato quando morì a casa di un amico a Los Angeles. Come vuole la tradizione induista il suo corpo è stato cremato e le ceneri sparsi nel sacro fiume, il Gange. Ha lasciato questo mondo in pace con se stesso, una delle sue ultime citazioni è stata la seguente: “Tutto può attendere, non la ricerca di Dio e amarsi l’un l’altro.” Amiamoci, dunque, proprio come voleva lui, e per ricordare questa persona dal grande cuore consiglio l’ascolto di While my guitar gently weeps eseguita da Clapton, Mccartney, Ringo Starr e molti altri artisti ed amici al concerto in suo onore nel2002 a Londra.
Captain Trip
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