Quando mi avvicino all’ ascolto di un album postumo, è sempre in maniera sospettosa o comunque sempre prudente, mi chiedo sempre perché un artista abbia tenuto in disparte dei pezzi o delle tracce, se non perché non li riteneva all’ altezza o quantomeno incompleti. Può succedere che un capolavoro non venga riconosciuto, eccezione alla regola ( la mia regola ), oppure che la scomparsa sia intervenuta prima della pubblicazione ( caso emblematico David Bowie con il mini album “ No Plan “ ), ma di solito questi “ ritrovamenti “ non portano nuovo lustro all’ artista.
Caso a parte, anzi, eccezione a parte, è PRINCE. Il “ Folletto di Mineapolis “ aveva fatto della sua casa-studio a Chanhassen, in Minesota, una vera e propria “musical factory”, dove viveva, scriveva, produceva, creava, senza mai uscire, se non per i sempre più radi concerti, schiavo del Fentanyl, ( oppiaceo 50 volte più potente dell’ eroina ) degli antidolorifici e delle sue ossessioni. Sono stati ritrovati ( si dice ) 8.000 brani, che con tuta l’ eredità vengono gestiti dalla banca Bremer Trust, nominata dal giudice su richiesta della sorella Tika ,erede insieme ad altri 5 fratelli, del patrimonio, non solo musicale ( il figlio avuto con Mayte Garcia divorziato nel 1998, morì pochi giorni dopo la nascita, affetto dalla sindrome di Pfeiffer nel 1996).
A fine luglio è uscito “ WELCOME2 AMERICA “, un album pop e R&B, risalente al 2010, piacevolissima sorpresa, perché nettamente superiore in qualità a tutto quello che Prince aveva pubblicato in quei anni, e , ancora più sorprendente, alcuni pezzi venivano usati per i concerti live. E’ stato registrato con il bassista Tal Wilkenfeld, ed il batterista Crhris Coleman, collaborazioni uniche, i testi dei brani rispecchiano le forti convinzione dell’ artista, come le accuse all’ industria discografica ( RUNNING GAME SON OF A SLAVE MASTER ), il suo disprezzo per i reality e gli iphone, le lotte tra neri ( what’s going on ) e le visioni “ Orwelliane ( Contoversy, Race e Baltimore ), il tutto in groove perfettamente incastrati in interpretazioni R&B e progressioni jazz. Emerge sicuramente “ WHEN SHE COMES “ dove già il titolo identifica la canzone, e dove la sensualità, ( dove da il meglio ) in falsetto, con atmosfere jazz, sonorità soffuse, porta all’ estremo la traduzione in musica del testo.
Perché un lavoro tale avesse deciso di non pubblicarlo rimane un mistero, ( si ripete la storia di “ Black Album “? ) certo è che questa “ eccezione “ ingigantisce ancora di più il suo genio.
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