Ci sono due cose che dovrebbero stare dentro ad una teca del museo: A night at the opera, leggendario album dei Queen, e i baffi di Farrokh Bulsara: frontman del gruppo che ha segnato un’ epoca con le sue arie create dal desiderio di evadere da una società che lo incitava ad essere tutto ciò che non voleva diventare. In qualche modo, sono entrambi legati al ricordo di novembre. Il 21 dell’undicesimo mese del 1975, infatti, usciva nei negozi di LP del tempo lo storico “A night at the opera”. Il disco diventa subito famoso e con lui i Queen, che vengono acclamati soprattutto per la loro capacità di viaggiare tra tempo e spazio fondendo stili musicali e sonorità che fino ad allora sembravano cozzare tra di loro. Il risultato di quattro mesi di lavoro di incisioni e ricerca musicale li ripaga raggiungendo la vetta delle classifiche, grazie, soprattutto, a Bohemian Rapsody che diviene l’emblema della band inglese. Se questo ricordo ci fa sorridere e vagare con la mente, quello del 24 novembre, invece, mette una malinconia sui nostri volti. Nella notte di quel giorno del 1991, Freddy Mercury, esala il suo ultimo respiro in compagnia del suo partner. Tanto amato dai fan, quanto odiato dal suo popolo natale che non tollerava le sue scelte di vita e tanto meno il rinnego con successivo cambio di nome. Ho imparato che le persone e, ancor più gli artisti, vanno accettati per quello che sono. Non possiamo fare altro che ringraziare il genio di Zanzibar per quello che è riuscito a creare con le proprie capacità.
Captain Trip
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