Cara Alisha,
È il 26 dicembre e sono seduta in cucina.
Potrei starmene in salotto, magari davanti al camino acceso, ma il fuoco è un piacere che richiede compagnia, guardarlo da soli rischia di suscitare strane idee: i ciocchi bruciano, come bruciano le nostre vite divorate dal tempo, di loro rimane polvere come polvere un giorno rimarrà dei nostri corpi; e poi la cucina è il luogo della vita, è qui che pranziamo e ceniamo in famiglia, è qui che abbiamo avuto i nostri battibecchi, le nostre discussioni, è qui che, ogni tanto, sono scoppiate per fortuna le risate ed ès empre qui che abbiamo preso le varie decisioni tutti insieme.
Ricordi quando, ai primi di dicembre, ho lanciato l’idea del «Natale liberi tutti »? Hai notato l’attimo di incredulo silenzio che è seguito?
«È uno scherzo?» ha chiesto Ginevra.
«No, una proposta seria.»
«Allora basta invertire i termini» hai commentato, sorridendo.
«Pasqua con i tuoi, Natale con chi vuoi.»
«E chi si è visto, si è visto» è stata la conclusione di tua sorella.
L’unico ad avere un’espressione desolata era il piccolo Elia.
«Ma come? Niente albero, niente presepe, niente regali?»
Ho dovuto rassicurarlo.
«Tranquillo. Faremo tutto come si deve, regali, albero, poi il 26 liberi tutti !»
La prima a partire sei stata proprio tu senza aspettare Natale, dato che la meta che avevi scelto era lontana, mentre Ginevra si era procurata un invito dalla sua amica Diamante che ha una casa a
Cortina ed Elia era sembrato felice di passare le vacanze con la famiglia del suo amico del cuore.
(Susanna Tamaro, “Il vento soffi a dove vuole”, Solferino, 2023)
Il vento soffi a dove vuole ma va’ dove ti porta il cuore, mi verrebbe da scrivere (l’ho scritto) unendo il romanzo di Susanna Tamaro ultimo pubblicato con quello che uscì trent’anni fa e che finora ha venduto 15 milioni di copie in tutto il mondo. Ma più che con i titoli, il collegamento da fare è con la modalità narrativa. Questo è un romanzo epistolare, “Va’ dove ti porta il cuore” è diaristico-epistolare.
Qui una donna, verso i sessant’anni, scrive tre lettere (alle due figlie femmine e al marito, ma lasciando fuori l’ulti mo arrivato, il figlio maschio, ancora bambino). E’, in parte, un discorso tra generazioni, nel best seller di trent’anni ancor di più, visto che era una nonna a scrivere alla nipote.
Molti i temi inseriti dalla Tamaro, agevolata dall’avere a disposizione una figlia adottiva (Alisha, di origine indiana, a cui si rivolge nella prima lettera), una figlia naturale (Ginevra, figlia naturale, arrivata quando ormai l’adozione di Alisha era in dirittura d’arrivo) e il marito (Davide, medico, pediatra, diverso da Chiara per origini familiari e anche regionali e dunque culturali). Temi che riguardano i sentimenti , ma anche la visione della vita, i drammi come le gioie, le tensioni interne e i momenti di riconciliazione…
Un po’ come “Va’ dove ti porta il cuore”? Ecco, il parallelo con il romanzo di trent’anni fa viene spontaneo da fare, in diversi momenti sembra quasi un’autocitazione (non un autoplagio, per carità!). Ma Susanna Tamaro sa scrivere (anche se a un po’ di critica non piace) ed utilizza bene colpi di scena, momenti di tensione narrativa e quant’altro. Ma con un finale debole, che ho dimenticato e che ho dovuto andare a rivedere, anche se ho finito il libro da pochi giorni. Test brutale ma a suo modo efficace: se ti dimentichi il finale di un romanzo, qualcosa non ha funzionato.
Gianluigi Coltri
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