Il sole cala, dietro le robinie.
Cancellate e panchine si confondono.
Oltre il piazzale nero del capolinea
è un lago di buio, lo scavo.
Contro le ombre dei palazzi, là in fondo,
il casottino della foto-tessera
luccica come un’astronave.
(“Sera”, di Umberto Fiori, da “Autoritratt o automati co”, Garzanti , 2023)
Il protagonista (ma sarebbe meglio dirlo al plurale) è quel “casottino della foto-tessera”, che Umberto Fiori ha cominciato ad usare una cinquantina d’anni fa, facendo a se stesso ciò che troviamo in piccola parte nel libro: l’autoritratto automatico.
Cinquant’anni per descriversi attraverso la frequentazione periodica dei casottini, cinquant’anni in cui cambiano le mode, ma anche le espressioni, e soprattutto i capelli, i lineamenti, compaiono rughe, si infossano le occhiaie…
È poesia metropolitana, quella di Fiori, che in un lontano passato fu anche musicista (chitarra e voce degli Stormy Six), poesia cheracconta angoli senza storia o non-luoghi, come la fermata della metropolitana (uno dei luoghi deputati all’installazione epermanenza di un casottino per la foto-tessera). E, almeno per le prime poesie della silloge, sono scatti, istantanee anche le poesie, come le foto, salvo poi, nel prosieguo, prendersi più spazio per descrivere, raccontare e rifl ettere.
Una ampia introduzione apre il libro e piacerebbe poter vedere un bel po’ di più di quei ritratti automatici della collezione diUmberto Fiori. Non è un’operazione narcisistica nè autoreferenziale, piuttosto è uno scavo, un’autoanalisi, e anche una presa in giro. Infatti, chi non ha mai fatto smorfie e boccacce quando si è trovato dentro il casottino?
Gianluigi Coltri
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