Mi ero messo al volante ed ero partito. Era servito. L’essere in movimento mi faceva stare bene. Avevo guidato, senza sapere dove fossi diretto. Era per via della noia che mi aveva assalito e di cui ero
rimasto vittima. Io, che normalmente non mi annoiavo mai. Il pensiero di tutto quello che avrei potuto fare per contrastarla non mi procurava nessuna gioia, così avevo agito. Ero salito in macchina e
via, e dove potevo girare a destra o a sinistra giravo a destra, e dove al bivio successivo potevo prendere a destra o a sinistra prendevo a sinistra. Avevo proseguito in quel modo. Ero finito su una strada forestale dove via via i solchi lasciati dagli pneumatici erano diventati così profondi che sentivo l’auto toccare sotto. Avevo continuato a guidare fino a quando non era rimasta completamente bloccata. Avevo cercato di fare retromarcia, ma invano, così l’avevo fermata. Avevo spento il motore. Ero rimasto seduto. Be’, eccomi qui, avevo pensato. Mi sentivo vuoto, come se la noia si fosse trasformata proprio in quello, in un vuoto. O piuttosto in angoscia, perché avvertivo dentro di me una specie di paura mentre, lo sguardo assente e fisso in avanti, vedevo come in un nulla. Dentro un nulla.
Ma come parlo? avevo pensato. Davanti a me c’è il bosco, è solo un bosco. Ecco dove mi ha condotto tutta questa smania improvvisa di andarmene da qualche parte, nel bosco. E anche quello era solo un
modo di dire, che qualcosa, qualsiasi essa sia, conduca, qualunque sia il significato, a qualcosa, sì, a qualcos’altro. Guardavo dentro il bosco davanti a me. Il bosco. Sì. Gli alberi che si ergevano fitti uno
accanto all’altro, pini, alberi di pino.
(Jon Fosse, “Un bagliore”, La nave di Teseo, 2024, trad. Margherita Podestà Heir)
Jon Fosse ha veramente meritato il Nobel 2023 per la letteratura: “Un bagliore” è un libro di sole 43 pagine ma, come giustamente ha sottolineato un lettore in un post, è immenso. È un monologo, unico, compatto e indivisibile: non c’è nessuna interruzione di paragrafo, il testo scorre ininterrottamente, incessantemente (sembra di leggere in apnea) ed è coinvolgente, perturbante, ipnotizzante.
Un uomo guida un’auto, prende una strada che si inoltra nel bosco ed arriva ad un punto in cui non può più andare avanti , ma neppure può fare retromarcia. Per di più, nevica. L’uomo scende dall’auto, gli pare di ricordare di aver intravisto una casa, prima, forse c’è qualcuno che può aiutarlo, e procede, solitario, immerso in pensieri e domande…
È una parabola? È una distopia? Un racconto fantastico, alla maniera di Durrenmatt (quello dell’angoscioso “Il tunnel”)? E’ tutto questo ed altro, è la vita e la morte, è la luce ed è il buio, è l’apocalisse e il giudizio. Non è una semplice lettura: qui, il lettore, fa un’esperienza.
Immenso, l’ho già scritto, e aggiungo: straordinario. Stra-ordinario.
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