Andi Taylor si batte un pugno contro l’altro, si dà colpi sulla pancia piatta, e non pensa a sua madre seduta a casa con il fratellino,né alla sua macchina, che è già un miracolo che l’abbia portata qui, né
al suo lavoro estivo di bagnina nella sovraffollata piscina pubblica, non pensa al bambino di quattro anni che ha visto morire, il bambino di quattro anni che ha praticamente ucciso, né alle sue guance blu.
Gli adolescenti non dovrebbero avere il compito di salvare i bambini.
Non importa quante lezioni di massaggio cardiaco abbiano seguito.
Andi ha ucciso il bambino con i suoi occhi distratti. Sul costume da bagno del bambino c’erano dei camioncini rossi. Sembrava un corpo di plastica. Ma Andi adesso non pensa alla consistenza della sua
coscia quando l’aveva tirato fuori dal fondo della piscina, già morto, né alla facilità con cui l’aveva afferrato, tanto era piccolo. Andi adesso guarda il lucernario e il bagliore che proietta in quel buco di
palestra e pensa agli errori che commette ogni volta che combatte, alla sua guardia sinistra pigra, al modo in cui la sua mano sinistra tende a scivolare via e non le protegge il viso se non ci fa attenzione.
Andi Taylor pensa anche a come Artemis Victor la batterà. Se non si concentra, questo combattimento finirà in pochi secondi. Andi Taylor deve fare attenzione al distanziamento e alla pancia. Deve fare attenzione alla postura.
(Rita Bullwinkel, “La vita in pugno”, Bollati Boringhieri, 2024, trad. Sara Reggiani)
Ogni tanto, nel circolo di lettura a cui partecipo, salta fuori il discorso che spesso a noi lettori accaniti sembra già di aver letto quello che stiamo leggendo, non tanto perché gli scrittori scopiazzino (ci mancherebbe!) ma per il fatto che ci sono temi che si ripetono, situazioni già trovate altrove, storie poco originali… Non è il caso de “La vita in pugno”, primo romanzo di Rita Bullwinkel che però in passato ha pubblicato una premiata raccolta di racconti e insegna scrittura creativa (i casi).
In “La vita in pugno” l’autrice segue le finali dei campionati di boxe femminile degli USA, riservate alle under 18, organizzati a Reno (Nevada). Quattro incontri a eliminazione diretta, due semifinali, una finale. Bullwinkel segue gli incontri, praticamente in presa diretta, entrambi nei pensieri delle otto ragazze, ne traccia i profili, addirittura fa il flashback al contrario, racconta cioè cosa accadrà loro, che vita faranno.
Oltre ad essere avvincente (nessun risultato è scontato, anche le più forti faticheranno ad emergere), la narrazione incastra tratti sociologici (la provenienza delle ragazze, gli ambienti familiari, i drammi – come il bambino che Andi non è riuscita a salvare o forse l’ha ucciso), aggiunge tocchi poetici, surreali e perfino comici (c’è tutto un tormentone attorno alla “filosofia dello strano cappello” fatTo con una coda di procione).
Veramente tanta roba, senza essere prolissa: fa presto ad arrivare il gong, i tempi nella boxe sono rigorosi. Altrettanti quelli di Bullwinkel: complimenti.
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