«Venite qui un momento…»
Buonvino avrebbe potuto aggiungere un simpatico e ciarliero “ragazzi”, rivolgendosi ai suoi colleghi del commissariato. Ma non lo aveva fatto, nonostante il ruolo, l’autorevolezza e l’età glielo consentissero; aveva infatti scoperto, con fastidio, che quella parola era stata monopolizzata dai politici, diventando uno smaliziato e ammiccante tormentone. Non c’era dibattito televisivo in cui qualche eletto dal popolo non si servisse di quell’epiteto usato con tono dozzinale – in un modo buono per una festa con i tramezzini e la Coca-Cola – per parlare di altri deputati, dei giornalisti, dei capi di stato, del papa, degli italiani tutti. Tutti definiti “ragazzi” a petto di un oratore spesso semianalfabeta, che si ergeva su un piedistallo d’acqua per trasmettere un grottesco effetto di dominio su una massa di cittadini stanchi e intristiti. Da allora il commissario aveva abolito
quell’espressione, che improvvisamente non gli sembrava più amichevole e scherzosa, ma intinta nella boria e, in fondo, in una malintesa pretesa di superiorità. La parola “ragazzi” – ne era ben consapevole – costituiva solo la tessera di un mosaico che non gli piaceva più, e che non aveva alcuna voglia di ricomporre.
Il tempo in cui viveva, sarà stata la malinconia pandemica, gli appariva, nel discorso pubblico, sempre più intriso di volgarità e di totale inutilità. Gli sembrava che ogni giorno il mondo si dibattesse, seguendo il ritmo ossessivo del tamburo dei social network, dando vita a devastanti discussioni su temi dei quali la mattina dopo nessuno avrebbe conservato alcuna memoria. Ogni cosa veniva illuminata in modo esagerato, come il viso delle conduttrici televisive che cercano di dissimulare una certa, bellissima, età.
(Walter Veltroni, “C’è un cadavere al Bioparco”, Marsilio, 2021)
Torna il commissario Buonvino, figura rassicurante ed umana, attaccato alla squadra di colleghi che gli è stata assegnata non come un padre ma certamente come un fratello maggiore. Ci sarebbe anche la poliziotta con cui ha avviato una relazione, che un po’ inutilmente entrambi cercano di nascondere (non sta bene la storia di un capo con un sottoposto), ma tant’è che ormai lo sanno tutti e che, anzi, si comincerà a parlare anche di matrimonio, nel corso della trama.
Ma siccome è un giallo, questo, c’è un cadavere di mezzo: lo dice anche il titolo, ed è al Bioparco, che poi sarebbe il ridenominato Zoo di Roma, un luogo che anche il cinema e non solo la letteratura hanno frequentato (ricordate “Bianco, rosso e Verdone”?). Il fatto clamoroso è che il suddetto cadavere viene ritrovato privo della testa e nella vasca dell’anaconda… Ce n’è insomma di che essere non sono perplessi ma anche sconvolti.
Veltroni ha uno stile felpato nella vita, nelle interviste e negli articoli che scrive per il Corriere della Sera, e pure quando fa il romanziere di genere poliziesco. Buonvino forse lo rispecchia un po’: anche il parlare, il modo di esprimersi, è quasi d’altri tempi, forbito ed educato. Un personaggio piovuto nel tempo d’oggi (ci sono accenni alla pandemia…) da un’altra epoca. Ma il giallo è giallo e difatti l’indagine ha tutti i sacri crismi, con un finale duro e per niente accomodante, alla faccia del bell’eloquio e della gentilezza del protagonista.
Gianluigi Coltri
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