1.e4 c5 2.Cf3 Cc6 3.Ab5 d6. Miša mulinò per un istante il polso sopra la scacchiera, simulando indecisione; quindi arroccò, premette l’orologio, si strofinò due volte il collo – era madido di sudore, le palpebre scattavano, la febbre gli dava il capogiro – e fissò intensamente Akopian, chiedendosi se il suo sguardo conservasse ancora l’antico magnetismo. Sarebbe tornato utile, date le condizioni del momento.
Giorni prima, pranzando al ristorante Amaya, qualcuno aveva ricordato la celebre storiella con Pál Benkő ai Candidati del ’59. Miša non aveva molta voglia di sentirla, e ancor meno desiderava narrarla; si era limitato ad ascoltare con un sorriso di circostanza, smuovendo la paella quasi intonsa nel piatto, mentre i colleghi più giovani lo sbirciavano. Dunque: da tempo si mormora che Michail Tal’ ipnotizzi gli avversari al tavolo da gioco; addirittura, secondo alcuni, facendo apparire donne nude nella loro mente per deconcentrarli. (Donne nude, Dio mio: sarebbe stato davvero un bel potere!). Così al terzo turno Benkő si presenta al tavolo con un paio di lenti nere per non subire i suoi occhi da stregone, anche se più tardi ammetterà che si trattava di uno scherzo. Ma Miša è stato avvisato da qualcuno, così estrae a sua volta degli occhialoni scuri da spiaggia, piuttosto ridicoli – li ha chiesti in prestito al suo amico Petrosjan – e li inforca come se niente fosse. Dal pubblico si solleva una risata, e anche l’avversario sorride: il solito Tal’. Al turno successivo, l’ultimo, Benkő indossa ancora le lenti scure –non si sa mai, deve aver pensato – ma commette lo stesso una svista: Miša ha pronta una combinazione schiacciante, potrebbe avviarsi alla vittoria e invece, come promesso all’allenatore Koblents, forza una patta per scacco perpetuo. («Giusto?», aveva chiesto il narratore; lui aveva annuito e completato mentalmente il ricordo con la voce esasperata di Koblents: Se non la porti a casa sana e salva il prima possibile, giuro che ti tiro pomodori marci dalla platea). Del resto una patta basta per condurlo di fronte a Botvinnik; e da lì, come tutti sanno, al titolo mondiale.
(Giorgio Fontana, “Il Mago di Riga”, Sellerio, 2022)
Giorgio Fontana, in un articolo dell’ottobre 2022, era intervenuto pesantemente sull’uso sciatto della lingua italiana nei romanzi degli scrittori contemporanei. Anzi, metteva anche se stesso nel mazzo. In verità, Fontana sa scrivere bene. Il problema, semmai, è un altro: la trama, ovvero il soggetto del romanzo.
Il ponderoso “Prima di noi”, pubblicato come questo da Sellerio, raccontava la saga di una famiglia, con un punto di debolezza nel finale che riecheggiava troppo una novella di Joyce, ma per il resto era molto apprezzabile. Ne “Il Mago di Riga”, invece, la storia del maestro scacchista Michail (Misha) Tal’ appare lontana, anche se il protagonista è morto solo una trentina d’anni fa, e gli scacchi non sono proprio il massimo della suspense. Ovvero, anche qui abbiamo già letto altre storie di scacchi, come i romanzi di Maurensig (pregevoli) o “La regina degli scacchi” di Walter Tevis (un capolavoro). Anzi, proprio a Beth, la regina degli scacchi, Tal’ finisce per assomigliare troppo: sregolato nella vita ma geniale nel gioco, imprevedibile nelle strategie ma divorato da malattie e fumo. Quasi quasi, ci starebbe pure Bergman, con “Il settimo sigillo”…
Comunque, la trama del libro è in buona sostanza il racconto dell’ultima partita ufficiale di Tal’, prima dell’ultimo ricovero e dell’esito infausto della malattia. In mezzo, tra una mossa e l’altra, passa tutta una vita. Passa anche un’epoca, in cui gli scacchi giocavano anche un ruolo nella geopolitica: quando l’americano Fisher battè il sovietico Spasski (anni Settanta del secolo scorso). Allora Tal’ era ancora in auge, nonostante non avesse più lo smalto di un tempo. Sono abbastanza vecchio da ricordarmi di lui e di quel momento fortemente mediatico per quest’antica e nobile disciplina.
Pur essendo un libro molto documentato (non mi sogno neppure di mettere in discussione la corretta riepilogazione delle mosse della partita), da Fontana mi sarei aspettato di più. Il fatto che il libro sia passato quasi inosservato nelle classifiche di vendita forse non è casuale.
Gianluigi Coltri
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