Il dottore gli aveva voltato le spalle, aveva percorso con passo pesante i due metri che lo separavano dalla scrivania e si era seduto, come per compilare qualcosa, ma non aveva compilato niente, aveva
incrociato le mani sulla scrivania e lo aveva guardato con un misto di amicizia e indolenza, rassegnato.
«Allora?»
«Allora niente, come al solito, le analisi fanno schifo, tu fai schifo, Manlio, diamo la colpa all’età e finiamola qui.»
Manlio Parrini aveva fatto una risatina.
Carlo Dizzani, il dottore, è suo amico da tempi immemorabili. Da quando lo avevano chiamato d’urgenza sul set per il malore di un attore, e quello era arrivato, giovane medico in turno di guardia,
veloce, efficiente. Aveva sistemato la questione, una cazzata, in termini clinici, e si era fermato un po’ a osservare, rapito da quel circo di ordini secchi e gesti tecnicamente misteriosi. Luci, filtri,
movimenti delle macchine, motore, azione! Senza che nessuno glielo avesse chiesto, con quegli accordi fatti di occhiate e di cenni del mento, era diventato il medico ufficiale su ogni set di Manlio Parrini, il Maestro, e poi confidente, amico. Aveva sposato un’attrice, addirittura, così vanno le cose della vita. E anche dopo che il Maestro aveva smesso di girare, dopo l’esplosione mondiale de “Le verità spezzate”, Dizzani era l’unico animale presente su quei set con cui Parrini era rimasto in contatto.
Visite di controllo, interventi d’emergenza, consulti , qualche cena.
«Basta che non cominci con quelle cazzate da medici sul non fumare, non bere, eccetera.»
(Alessandro Robecchi, “Le verità spezzate”, Rizzoli, 2024)
Robecchi è uno che mastica televisione (è tra gli autori di Maurizio Crozza, ha scritto gialli ambientati nel mondo della “fabbrica della merda”, cioè la tv del dolore e dei sentimenti sbandierati) ma ne “Le verità spezzate” si butta nel mondo del cinema, grazie al protagonista: Manlio Parrini, settantaquattro anni mal portati , da trenta non gira più niente, dopo il capolavoro superpremiato che ha lo stesso titolo del romanzo.
Eppure, un progetto ce l’avrebbe, nel cassetto: Parrini vorrebbe portare sul grande schermo la vicenda umana (e soprattutto la fine oscura) di Augusto de Angelis, giornalista e scrittore, inventore del poliziesco italiano, morto nel 1944. Una specie di coldcase, e Parrini comincia a lavorare attorno all’idea, quando la sua vicina di casa, un’ottantenne vedova immobiliarista, viene ammazzata. Il tutto avviene in un contesto signorile, villa con giardino, “non sembra neanche di stare a Milano”. Tra le indagini che brancolano un po’ nel buio ed il progetto cinematografico che nella prima parte cerca definizione, c’è un curioso parallelismo.
Robecchi è geniale nel condurre i diversi piani narrativi e sfrutta benissimo l’archivio storico del Corriere della Sera (c’è tutto il giornale, e per di più indicizzato, dal 1876 ad oggi: un giacimento storico e culturale immenso). Tanti i temi che si incrociano, compresi il fascismo, il periodo della Resistenza, il nostro presente malconcio e mal conciato, le tentazioni del pensiero unico, le mode culturali e non…
Lettura piacevolissima, e altro che poliziesco. E comunque, anche come poliziesco, funziona.
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