Nel tardo pomeriggio di un giorno d’estate del 1946 arrivavo, al timone di una grossa barca a vela, nel porto di Oggebbio sul Lago Maggiore. L‘“inverna”, il vento che nella buona stagione si alza ogni giorno dalla pianura lombarda e risale il lago per tutta la sua lunghezza, mi aveva sospinto, tra le dodici e le diciotto, non più in su di quel piccolo abitato lacustre, dove decisi di pernottare.
Trovandomi, come quasi sempre, solo a bordo, lavorai una mezz’ora per ormeggiare la barca in buona posizione, incappare le vele e prepararmi la cuccetta per la notte, sempre sotto gli occhi di un signore di mezza età, che fin da quando aveva gettato l’àncora nella melma del porticciolo aveva preso come passatempo lo spettacolo del mio arrivo.
(Piero Chiara, “La stanza del Vescovo”, Mondadori, 1977)
Ho fatto un confronto: dopo aver letto l’ultimo romanzo di Andrea Vitali (“La gita in barchetta”, Garzanti, 2021), sono andato a rileggermi “La stanza del Vescovo” di Piero Chiara. Due scrittori lacustri con romanzi muniti di natante. Ma se Vitali ha una barchetta, Chiara ha una barca a vela con due cuccette, tutta un’altra cosa insomma.
La differenza non è solo dimensionale (in senso navale), ma va oltre: Chiara batte Vitali, per qualità della scrittura, per disegno dei personaggi, anche per conduzione del natante, in quanto il primo descrive ed utilizza tutte le correnti che percorrono il Lago Maggiore. Ecco, giusto: Chiara ha il Lago Maggiore per location, Vitali quello di Como. Eppure, tanto Chiara quanto Vitali sono scrittori prolifici, la facilità di scrittura ha però un diverso peso tra i due.
Ne “La stanza del Vescovo” siamo nel 1946, a guerra appena finita, con una gran voglia di ricominciare a vivere ma con le ferite e le devastazioni del conflitto ancora ben presenti. Il protagonista, che veleggia tra Locarno e Intra, tra Verbania e Isole Borromee, sembra soprattutto a caccia di svago e divertimento, ma sotto sotto comincia a pensare al futuro come relazione stabile, come lavoro, come realizzazione. Diversamente, il dottor Orimbelli, antagonista o emulatore del protagonista, pensa più allo spasso ed al sesso (ma la signora Cleofe non induce certo in tentazione…). C’è poi Matilde, vedova Berlusconi, sposatasi per procura, con marito disperso in Africa orientale. Ma ci sono soprattutto alcune figure femminili che vanno e vengono, in cerca anche loro di vita e divertimento, e ci sono le genti del lago, con quel piccolo mondo fatto anche in Chiara come in Vitali di pettegolezzo, chiacchiera, maldicenza.
Ecco, il lago: questa specie di piccolo mare chiuso, con le burrasche e le bonacce come un mare aperto, è metafora di quel girare attorno che i personaggi de “La stanza del Vescovo” hanno un po’ tutti per cifra. Come se cercassero una via e non sapessero trovarla, una via per stare insieme o per lasciarsi, ma che forse si è smarrita, oppure non c’è mai stata, o non ci sarà.
Grandissimo Piero Chiara, batte Vitali su tutti i fronti, pur utilizzando alcune trovate e colpi di scena simili. Se il nuovo non convince, è ancora buono l’usato sicuro…
Gianluigi Coltri
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