Fu il naso fino di Spinetta Buboli a entrare in allarme nella tarda mattinata di martedì 15 gennaio 1963. Giornata di vento, come succedeva da un po’ di tempo, ma vento strano, un mezzo föhn, non
di stagione, insomma.
D’altronde passava davanti alla calzoleria, se ancora la si poteva chiamare così, almeno otto volte al giorno: quando andava alla messa del mattino, quando andava a prendere il pane, quando, più
tardi, andava a prendere un quartino di vino, rosso, consigliato dal dottore per l’anemia, al Circolo dei lavoratori. Infine al pomeriggio, quando andava al rosario delle quattro.
Tra andare e tornare appunto otto volte.
Ma era il minimo quotidiano.
Sola com’era non perdeva occasione per uscire, soprattutto quando sentiva suonare le note dell’agonia. Le notizie sui morti freschi le facevano più gola del pesce in carpione.
Quella mattina sbaragliò la concorrenza di coloro che aspettavano il proprio turno nella sala d’attesa dell’ambulatorio del dottor Lonati, affermando che si trattava di cosa urgente.
Il Lonati ne riconobbe la voce fessa, da gabbiano irritato. Colse un paio di parole più acute nello stridio del tono: «scusèm» e «grave».
«Cosa c’è?» chiese quando si trovò davanti la Spinetta, seria come un ambasciatore.
«Per me è morto», rispose la donna.
«Morto?» ribatté il Lonati.
«Morto, morto», ripeté la Spinetta toccandosi la punta del naso. «C’è puzza di marcio, di cadavere.»
(Andrea Vitali, “La gita in barchetta”, Garzanti, 2021)
Di Andrea Vitali, medico e scrittore, da qualche anno non leggevo più romanzi. Autore molto prolifico, Vitali: mi sembrava però che le trame non fossero più brillanti come un tempo A convincermi a prendere “La gita in barchetta” è stata una recensione entusiasta di Antonio D’Orrico, notoriamente molto critico. E allora…
Lo sfondo è sempre lo stesso: Bellano, sul lago di Como, con tutta l’umanità che lo popola. E che popola il libro: in fondo al libro, c’è l’elenco di 93 personaggi che, a vario titolo, passano nella trama, chi per una riga, chi dall’inizio alla fine, comparse e protagonisti. E tutti Vitali li fa agire e interagire, è proprio questa la sua specialità, con un miscuglio di umorismo, tenerezza e a volte malinconia, un lavoro da chimico più che da medico.
Al centro della storia c’è qui la famiglia Cereda, con la mamma rimasta vedova e tre figlie, di cui la più vecchia, Lirina, si è sposata per un colpo di testa con un muratore, la seconda Rita ha un handicap fisico e sembra il collettore delle disgrazie degli altri (e le sue, allora?) e poi la terza, la più bella, studente all’ultimo delle superiori, bravissima, Vincenza. Un’altra famiglia interseca poi le vicende dei Cereda, quella dei Camminatore, il cui figlio unico, Niccolò, sta per laurearsi in legge.
Come nelle storie di paese, tutto gira attorno a soldi, sesso e controllo sociale (tutti si fanno gli affari di tutti), ma, alla fine, sembra che Vitali s’incarti un po’, non arriva il colpo di scena (o, quantomeno, è facile intuirlo) ed il finale sembra accomodato in mancanza di alternative. Peccato. Se non avete mai letto niente di Vitali, potete anche gustarlo, se invece lo conoscete già, non aggiungete nulla, anzi, forse qualcosa ci perdete.
P.s.: perchè non rileggere, invece, un altro scrittore di lago, Piero Chiara?
Gianluigi Coltri
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