Sono saltati giù dai piani in fiamme —
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.
La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva
sopra la terra verso la terra.
Ognuno è ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.
C’è abbastanza tempo
perché si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.
Restano ancora nella sfera dell’aria,
nell’ambito di luoghi
che si sono appena aperti.
Solo due cose posso fare per loro —
descrivere quel volo
e non aggiungere l’ultima frase.
(“Fotografia dell’11 settembre”, di Wislawa Szymborska, da “La gioia di scrivere – Tutte le poesie – 1945-2009”, Adelphi, 2012)
Poche setimane fa abbiamo ricordato l’11 settembre 2001, ventennale di una tragedia che ha cambiato il mondo. Per fare un parallelo: della mia infanzia, l’evento mondiale che ricordo è stata la discesa dell’uomo sulla Luna, nel luglio 1969, quando avevo nove anni. Per le mie figlie, che nel 2001 avevano dodici e otto anni, è l’attentato alle Torri Gemelle di New York. Per voi qual è?
Una delle voci più alte che si levarono in quel momento fu quella di una poetessa, Wislawa Szymborska, che prends spunto da una fotografia, una di quelle che hanno fissato nel tempo e nella memoria alcune persone che si gettavano dai grattacieli in fiamme. É un testo che mette a contrasto la fissità della foto con il dinamismo della caduta: le persone sono ancora integre, il sangue è dentro i corpi, ma nel precipitare c’è il tempo di rendersi conto dei capelli che si spettinano, delle cose quotidiane, spiccioli e chiavi, che cadono dalle tasche.
Genialmente, la poetessa polacca chiude la poesia con la partecipazione interiore a quei voli disperati, che può solo descrivere, ed al rifiuto di mettere la parola definitiva, morte, nell’ultima frase. Conserva vivi coloro che tra pochi istanti non lo saranno più, come la foto li ha bloccati. La poesia si ferma alla vita, rende eterni quegli attimi, proprio come la fotografia.
Immagino, come successe per molte liriche di Szymborska, che anche questa sia stata scritta in cucina, mentre le pentole stavano sul fuoco, sul retro del conto della spesa o su un ritaglio di carta. Insomma, non c’è solo la quotidianità di spiccioli e chiavi, ma anche quella di versi e cipolle (come una famosissima poesia di questa poetessa, che venne premiata con il Nobel nel 1996). Nella nostra quotidianità, vent’anni fa, in quel giorno, in quei momenti, dove eravamo, cosa stavamo facendo, cosa ci stava tenendo occupati, prima di accendere il televisore, prima di guardare le breaking news?
Gianluigi Coltri
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