Il lunedì di novembre in cui Emilia e suo padre imboccarono il sentiero chiamato Stra’ dal Forche e risalirono il bosco di castagni che separa Sassaia dal resto del mondo, era il giorno dei morti.
Riccardo continuava a pensare che un posto del genere – una minuscola frazione isolata – non fosse adatto a cominciare una nuova vita: non per sua figlia, non dopo quello che aveva passato e,
soprattutto, non da sola. Ma Emilia procedeva a passo spedito, convinta.
D’altra parte, il cielo era di un blu abbagliante quella mattina.
L’aria, ripulita alla perfezione dalla pioggia della notte precedente, lasciava emergere anche i dettagli più lontani, e c’era una tale luce appoggiata alle cose: come se nessuno avesse potuto morire mai, e
nessuna storia finire, su questo crinale illibato di terra.
In realtà, era finito tutto da un pezzo. Ricoveri per il bestiame diroccati, una cappella votiva con una Madonna Nera sfigurata dalle intemperie: padre e figlia fingevano di non notare i relitti lungo il
sentiero. Sudavano, non si dicevano niente. Avevano atteso così tanti anni quel momento, che ora avevano timore d’infrangerlo se avessero parlato. La mulattiera era coperta da uno spesso tappeto di
foglie bagnate e anche i loro passi erano muti. Solo i cuori assordavano. Entrambi li ascoltavano rimbombare per la fatica, l’emozione, la paura, amplificati dal silenzio acquattato ovunque, tra le radici, tra i rami: vivo.
Ogni tanto posavano le valigie per riprendere fiato. I loro polmoni non erano più abituati alla montagna: erano gente di pianura che l’aveva frequentata solo in vacanza, molto tempo prima.
(Cinzia Avallone, “Cuore nero”, Rizzoli, 2024)
Alla fine, l’ho letto. E adesso lo commento.
Prima reazione: romanzo troppo lungo, la storia viene stiracchiata. Per scelta di scrittura, l’evento decisivo nella vita di Emilia (che accompagnata dal padre Riccardo va nello sperduto borgo di Sassaia, per cercare una nuova vita) viene talmente procrastinato che alla fine si è comunque capito quasi tutto e non c’è nessun effetto sorpresa. Intanto però sono costretto a non dire praticamente niente della trama, si rischia anche con mezza parola di anticipare troppo.
Seconda reazione: a Sassaia c’è un altro solitario, Bruno, anch’esso con un passato ingombrante, e le due solitudini si attraggono e si respingono. Niente di nuovo sotto il sole, metti due giovani vicini e qualcosa succede. Che poi Emilia sia una specie di adolescente tardiva (trentun anni) e Bruno un vecchio precoce, poco cambia.
Terza reazione: le parti più interessanti sono quelle che coinvolgono i comprimari: l’amicizia di Emilia con Marta, la figura del padre Riccardo (una vera storia nella storia!), il pittore solitario amico di Bruno, la sorella di Bruno (altra storia nella storia!).
Quarta reazione: una contestazione. “I genitori non si ringraziano”, salta fuori ad un certo punto, frase che pronuncia Riccardo. Anche no: i genitori si ringraziano, sempre e comunque.
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