Ad aprile sono poche le barche che fanno la spola dalla terraferma all’isola.
Lei cammina nel paese chiuso: una donna con gambe da cicogna e rughe ai lati degli occhi azzurrini come chi è cresciuto in una città ventosa, se ne va in giro sola tra case di vacanza disabitate, qualche facciata sfoggia una bandiera della Dinamo Zagabria appesa ai fili del bucato, qualche altra un muro decorato da fori di proiettile. Alma alza gli occhi verso il campanile e vede un gabbiano che si sgranchisce le ali. Stamattina ha telefonato all’albergo sull’isola, ha chiesto se era possibile prenotare una camera. È possibile, le hanno risposto con riluttanza.
Sono cambiati i tempi ma l’isola conserva la sua scortesia.
Il cielo intanto è schiarito, c’è un sole baltico. Le sembra di aver passato la vita sotto cieli come questo, a inseguire qualcosa che non aveva chiaro. Un inverno nella sua città a est, doveva essere la fine di febbraio, camminava nel bosco del barone Revoltella e gli alberi sobbalzavano per la bora, lei stringeva la mano di un uomo che si era intrufolata nella tasca del suo cappotto e tremava. Accadevano cose del genere, conosceva persone con cui passava del tempo, scrutavano il cielo
insieme, facevano un pezzo di strada, poi lei se ne andava.
Le campane battono l’ora, il capitano della barca è entrato in cabina a controllare che tutto sia pronto. Alma si affretta a raggiungere la passerella, nessuno le controlla il biglietto: è l’unica passeggera, e ha l’aria da straniera del nord.
(Federica Manzon, “Alma”, Feltrinelli, 2024)
Ecco un romanzo storico un po’ sui generis, dove la Storia s’interseca con le storie dei due protagonisti (Alma domina la scena, ma senza Vili non esisterebbe il romanzo), a tratti vicinissima (l’incontro con il maresciallo Tito), a tratti lontanissima (la guerra nei Balcani vista dall’Occidente).
Come avrete capito, si parla del disfacimento dell’ex Jugoslavia, seguito alla morte di Tito, che con fermezza (sia verso l’URSS di Breznev, sia verso la NATO) era riuscito a creare un certo consenso internazionale, creando il gruppo dei cosiddetti “paesi non allineati ”. Ma, da dittatore qual era in fondo, alla sua scomparsa tutta l’architettura politica, interna ed estera, crollò. Ecco l’importanza di Vili, che sta al di là del confine, che fa il fotografo di guerra, che si muove tra Serbia e Croazia.
Alma ha conosciuto Vili perché da adolescente è stato mandato a Trieste, dove vive lei, grazie alla conoscenza e stima reciproca che hanno le due famiglie d’origine. Ma ci sono differenze, incomprensioni, ci sono linguaggi diversi, visioni del mondo e della vita diverse.
La crescita e la maturità di Alma, che diventa giornalista e corrispondente, si specchia volente o nolente con quella di Vili e non c’è niente di scontato, nè un semplice gesto, nè una parola, che non possano generare incomprensioni e tensioni.
Federica Manzon racconta tutto con molto garbo, con precisione chirurgica, rallentando il tempo del racconto, quando serve, fino a scovare l’attimo, a fermare l’immagine, in un romanzo che sollecita domande a cui non sempre si riesce a dare risposta,neanche in letteratura.
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