Anche nel più famoso dei film della Hollywood classica, “Gone with the Wind” (“Via col vento”, 1939), realizzato insieme ad altre opere memorabili nell’anno in cui in Europa scoppiò la guerra, quasi a sancire il trionfo di una forma di spettacolo, troviamo un’interessante figura paterna. È vero che qui compare pure una positiva figura di madre (che muore per troppa carità, come le rimprovera la fedele governante Mammy); ma il valore primario, l’amore per la terra, cioè la piantagione di Tara che resta alla fine, dopo quattro ore di film, unica speranza per Rossella (Vivien Leigh), le è stato inculcato dal padre (Thomas Mitchell). Lo vediamo subito nella prima sequenza, quando lei molla i due gemelli venuti a corteggiarla e gli va incontro, di sera, mentre torna dalla tenuta dei vicini. E nell’inquadratura ove il padre pronuncia la battuta sul valore grande ed eterno della terra, le due figure ci appaiono unite in un campo lunghissimo molto mitizzante, immagine che sarà ripetuta altre due volte nel corso del film in due momenti importanti: il giuramento di Rossella, che farà di tutto, arrivando persino a uccidere, pur di non soffrire più la fame, né lei né i suoi discendenti (cosa che le conferisce dunque, in un certo senso, una funzione piuttosto maschile, di procacciatrice di ricchezza); poi, ancora, il finale. Nella prima delle tre inquadrature uguali i due personaggi stanno insieme sulla cima di un crinale sotto un cielo rosso fuoco al tramonto, tipico del Technicolor di quegli anni, con carrellata all’indietro e motivo di Max Steiner a tutto volume nella colonna sonora.
(Roberto Campari, “Padri e figli nel cinema”, La nave di Teseo, 2021)
Ecco un percorso interessante nella storia del cinema: la ricerca di Roberto Campari è andata dagli albori della decima arte ai giorni nostri (più o meno), seguendo nel tempo un unico tema, ossia quello del rapporto padri e figli (o figlie, come nel caso di Rossella O’Hara). Voce autorevole, quella di Campari, già docente di storia del cinema all’università di Parma, ma, come testimonia la citazione qui sopra riportata, con toni e modi da appassionato divulgatore, non da spocchioso cattedratico.
Seguire il rapporto tra padre e figli attraverso il cinema vuol dire osservare e comprendere ciò che è mutato nella società e nella cultura, soprattutto occidentali, nell’arco degli ultimi centoventi anni, ma è soprattutto dopo la seconda guerra mondiale che avviene lo sgretolamento del modello tradizionale di paternità. In fondo, come evidenzia Campari, anche Rossella O’Hara deve “mascolinizzarsi” per sopravvivere, dunque deve assumere un ruolo diverso. Siamo però nel 1939. Ma con l’evoluzione sociale, la beat generation, l’emancipazione femminile, negli ultimi sessant’anni saltano tutti gli schemi, i modelli diventano meno riconoscibili, in compenso deflagrano i conflitti.
Dobbiamo arrivare vicino a noi, ai nostri giorni, per trovare un modello interessante di paternità: è quello del Padre di “La strada”, romanzo di Cormac McCarthy e film di Hillcoat (2009). In un mondo stravolto da catastrofi e da guerre, il Padre cerca di portare il Figlio in salvo, laddove possa crescere e divenire uomo. Nel Padre sono la forza e la dolcezza, la determinazione e la comprensione, l’insegnamento e l’ascolto. Quanta differenza con il padre tardo-adolescenziale (Vittorio Gassman) che corteggia involontariamente la figlia poco più che adolescente (Catherine Spaak) ne “Il sorpasso”!
Gianluigi Coltri
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