Non si hanno più notizie della Cooperativa agricola di Polesine Camerini, investita come tutta la fascia orientale dell’isola dal nubifragio. Ieri sera lungo la riva invocavano soccorso, ma da stamane non si riesce più a comunicare. Anche perché, in seguito alla piena del fiume, i pescatori del borgo di Pila non osano traghettare. Così ci ha rivelato un funzionario giunto un’ora fa, accasciato e pieno di preoccupazioni per il raccolto del riso che sembra sia andato perduto. Mio padre lo incoraggia, assicurandolo che in simili frangenti, il danno a prima vista sembra assai più rilevante di quanto poi non sia. Dal tono della voce però, sento che non è tranquillo. Niente più della voce tradisce le emozioni. Con il volto si riesce a dissimulare, ma con la voce quasi mai. Magari è un impaccio appena percettibile, un’inflessione brevissima, un’esitazione…
A mezzogiorno ho telefonato a un amico, chiedendogli se ha la macchina disponibile, e siamo partiti verso il Delta. Una volta superata Adria il paesaggio diventa improvvisamente piatto, brullo, privo di alberi. Forse per questo il canale navigabile sembra aver perso la sua lenta dolcezza…
In vista di Contarina cominciamo a incrociare gruppi di persone ferme in mezzo alla strada. Chiacchierano tutte in circolo e dal modo di confabulare ci sembrano nervose, agitate. La voglia sarebbe di fermarci, ma rallentiamo solamente, nella speranza di cogliere al volo qualche discorso. D’altronde per arrivare c’ è ancora molta strada e non bisogna perdere tempo.
Incontriamo il Po. È così gonfio che tra la riva e il pelo dell’acqua ci sarà mezzo metro. Fa un’impressione tremenda. Mentre corriamo, penso dove s’andrebbe a finire se improvvisamente si spaccasse l’argine.
(Gianantonio Cibotto, “Cronache dell’alluvione”, La nave di Teseo, 2021)
Comincia così (“Non si hanno più notizie della Cooperativa agricola di Polesine Camerini…”, brutalmente, senza introduzioni, cappelli o altro la cronaca di Gianantonio Cibotto dell’alluvione del Polesine, di cui commemoriamo i settant’anni dall’evento. Comincia due giorni prima della rottura dell’argine che manderà sott’acqua gran parte della provincia di Rovigo, e prosegue anche dopo, quando la piena comincia a calmarsi ed il livello dell’acqua a calare.
Ma Cibotto non si limita a raccontare gli eventi a mano a mano che si stanno svolgendo, non è capacedi essere solo spettatore, così si unisce ai soccorritori, si avventura sulle barche alla ricerca di sopravvissuti sugli argini rimasti, sui tetti delle case, sui rami alti degli alberi. Lavora con i soldati, patisce sonno freddo e fame con gli sfollati e con i soccorritori. Sarà un’esperienza incredibile, quasi disumana: lui che pensava di andarsene da Rovigo verso più grandi e importanti città, vi resterà invece indissolubilmente legato. Altri, moltissimi altri, invece se ne andarono, per la miseria e per la fame, e Rovigo e la sua provincia non furono più come prima.
Ho avuto il piacere e l’onore non solo di conoscere Cibotto, ma di collaborare insieme per un premiodi poesia dialettale, intitolato ad Antonio Bettanin, che durò una decina d’anni. Uomo ruvido, diretto, ma colto e attento: uno, insomma, da cui si imparava qualcosa. Giornalista e scrittore, è scomparso pochi anni fa. Elisabetta Sgarbi di La nave di Teseo ha fatto uscire la ristampa di “Cronache dell’alluvione”: per lei, come per suo fratello Vittorio, Gianantonio era uno di famiglia, praticamente un secondo padre. Il loro, farmacista di Ro Ferrarese, stava sull’altra sponda del Po, e anche lui, come lo scrittore, si unì a quanti soccorsero i polesani.
Non è solo memoria di una catastrofe, è anche una lezione sulla gestione degli eventi naturali in Italia. L’alluvione del Polesine è del 1951, settant’anni fa: quante volte, da allora, cambiando i nomi dei luoghi, potremmo riscrivere le stesse cronache?
Gianluigi Coltri
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