Come un gatto. Isora vomitava come un gatto. Hukhukhuk e il vomito precipitava dentro la tazza del water per essere poi risucchiato dall’immenso sottosuolo dell’isola. Gli capitava due, tre, quattro volte a settimana. Mi diceva mi fa malissimo qui, e s’indicava un punto in mezzo, propio sullo stomaco, col suo dito grosso e scuro, l’unghia che sembrava rosicchiata da una capra, e vomitava come un altro si lava i denti. Tirava lo sciacquone, abbassava la tavoletta e con la manica del maglione, quasi sempre un maglione bianco a disegnini di cocomeri coi semi neri, si puliva le labbra e continuava. Continuava sempre.
Prima non lo faceva mai davanti a me. Mi ricordo il giorno che la vidi vomitare per la prima volta.
(Andrea Abreu, “Pancia d’asino”, Ponte alle Grazie, 2021)
Se qualcuno è stato a Tenerife, nelle isole Canarie, avrà scoperto (o gliel’avranno raccontato) che il Pico de Teide, il vulcano che sovrasta l’isola, fa cambiare il tempo dal nord al sud. Se la parte meridionale è secca e desertica, la parte nord per contro è umida e spesso coperta di nuvole. Proprio quelle nuvole, grevi e grigie, vengono dette “pancia d’asino”. E in un barrio, nel nord di Tenerife, vivono le piccole protagoniste della giovane scrittrice Andrea Abreu, al suo esordio.
Sono bambine ma sveglie, scrivono e parlano in maniera sgrammaticata ma sboccata, vivono più sulla strada che in casa, ne combinano di tutti i colori non solo con i giochi, ma con le marachelle che inventano e mettono in pratica. Abitano, sia loro che le loro famiglie, lontano dalle mete turistiche, anche se i genitori di qualcuna di loro è là che lavora, dove ci sono italiani, inglesi, tedeschi… Anzi, a volte sembra proprio che la civiltà stia altrove (anche se qualche scampolo religioso sembra resistere) e che loro, le piccole, siano delle selvagge. Protagonista è Isora, che è il punto di riferimento, amata ed odiata, della voce narrante, senza nome, ma con un soprannome che è un programma: shit. Detta così, senza cattiveria, sorridendo, ma sempre “mer*a” è la sua traduzione.
Francamente, mi sono chiesto, se non c’era di meglio da pubblicare, in Italia (con diverse recensioni, tra l’altro, su media e web), ma ricordo un’unico altro libro di “letteratura delle Canarie” e non era niente di memorabile. “Pancia d’asino” è un romanzo estremo (parolacce & bestemmie incluse), che non ha voglia di compiacere o di piacere, ma mi chiedo cos’altro potrà scrivere Andrea Abreu, finito l’effetto sorpresa dello stile e della giovane età. Beh, lì sarà il momento topico, quando bisognerà confermarsi come scrittrice.
P.S.: consiglio spassionato: ecco un libro che non regalerei a nessuno, salvo che si tratti di un fanatico bibliomane di letteratura delle Isole Canarie. In tutti gli altri casi, consiglio astenersi: brutta figura in agguato.
Gianluigi Coltri
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