La prima autorità arriva dalla famiglia. “Sta fermo/muoviti; mangia/basta che scoppi; parla/sta zitto; dormi/svegliati. E non toccarti lì, e saluta la signora e fa il bravo che sei un ometto”.
Che palle! Sfido che poi uno, appena può, si mette a bere o ad assumere psicofarmaci o sostanze proibite.
Passati i tre anni di età, le cose peggiorano quando si va all’asilo. Ci hanno provato anche con me, mandandomi in una specie di lager gestito dalle suore. Ero piccolo ma mi ricordo tutto: il tono gelido con cui mi trattavano quelle zitellone velate e baffute, i poveri giochi a divertimento obbligatorio, il sonnellino pomeridiano imposto come una condanna. E poi quell’odore misto di minestrina e olio andato a male che pervadeva ogni angolo.
(Lino Zonin, “A lavorare!”, Agora Factory, 2018)
Ma come, si parla di lavorare e si comincia dall’asilo? Proprio così: è lì che comincia l’inquadramento, lì che arrivano le regole, le limitazioni della libertà, l’obbedienza agli orari, tutto ciò che la vita lavorativa poi arriverà a declinare in massima misura (e mai abbastanza remunerata per le scientifiche e reiterate rotture di scatole che essa comporta). Questo libro di Lino Zonin (giornalista e scrittore vicentino, vive ed abita a Lonigo) è dedicato a ripercorrere la sua vita lavorativa, prequel (asilo) e sequel (pensione) compresi.
Io sono di qualche anno più giovane di Zonin, ma molte delle situazioni ed anche delle persone di cui parla ne libro, le ho conosciute o riconosciute. Anzi, può essere un gioco divertente andare ad individuare l’industriale dei prosciutti di Lonigo o il conciario di Montebello: alcuni dettagli li rendono riconoscibili. Ma Zonin va oltre l’aneddoto e l’episodio, si collega al presente, nel ricordo inserisce il confronto e la riflessione, passa insomma quarant’anni di sua e di nostra storia.
Non inganni il tono leggero, che acquista il colore della battuta di spirito: spesso è il velo della malinconia (non della nostalgia) e di una certa amarezza (soprattutto per le persone che non ci sono più) che accompagnano il lettore tra uffici e banche, commercialisti e amministratori delegati. Gustoso e sapido, con una punta di amaro e qualche punzecchiatura (vd. l’omonimia con l’ex presidente della Popolare di Vicenza Gianni Zonin) va oltre insomma la didascalia e il memoriale.
A proposito, la mia suora, all’asilo, era bellissima e giovane (forse un po’ di baffi li aveva anche lei, però…) e il mio odiato ricordo è quello della bistecchina fredda con la consistenza del cuoio (che fossero gli scarti della conceria dove lavorava Zonin?).
Gianluigi Coltri
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