Shakespeare scrisse la “Tragedie of Romeo and Juliet” quando non era nemmeno trentenne, nella prima metà degli anni novanta del Cinquecento. L’ambientazione rimase italiana e veneta, come per altri celeberrimi drammi del bardo tra cui quel “Mercante di Venezia” che, negli stessi anni, portò in scena un’altra figura per molti aspetti archetipica: quella del prestatore ebreo Shylock. Quale scenariopiù della Serenissima poteva far volare la fantasia del pubblico inglese verso un mondo esotico e turbolento, raffinato e libero, in cui immaginare collocate storie di amori contrastati, mercanti e marinai, ebrei e traffici commerciali, potere e spregio delle convenzioni?
(Germano Maifreda, “Italya”, Laterza, 2021)
La Venezia di inizio Cinquecento è al massimo della sua potenza (la scoperta dell’America, avvenuta da pochi anni, non ha ancora spostato il baricentro economico e politico) ed è così importante dal punto di vista culturale da ispirare Shakespeare, il Bardo, per quella figura controversa di Shylock, il mercante ebreo. Pensare che in Inghilterra gli ebrei erano stati scacciati con editto reale da almeno duecento anni…
Venezia, invece, con la sua “realpolitik”, ci combina affari, ma li chiude nel “ghetto”: nel 1516 nasce il primo di questi, sul terreno che era stato occupato da una fonderia (ghetto, cioè “getto”, la colata della ghisa) e obbliga gli ebrei a trasferirsi ivi. Sono circa 900 su 160.000 abitanti della città all’epoca e, se andate a visitare i luoghi, vedrete ancora le sinagoghe, le scuole, ma anche le porticine che venivano chiuse a sera e le vertiginose abitazioni (fino a sette piani, con stanze piccole e basse).
Regolato da veri e propri accordi (le “Condotte”), il ghetto diventò non solo luogo di emarginazione, ma contribuì anche a rafforzare e a proteggere la comunità ebraica veneziana. Non per niente, mentre sono sparite quelle di altre città venete (Conegliano, Asolo) o si sono assai ridotte (Verona), a Venezia resiste, con tanto di negozi, ristoranti kosher, eccetera.
L’interessante saggio di Maifreda, che percorre la presenza degli ebrei in Italia, nel capitolo venezianotrova però anche il modo di raccontare una storia d’amore, ovviamente contrastato, tra Giorgio dettoel Moretto e Rachel. Dagli atti relativi al processo presso la Santa Inquisizione veneziana, scopriamo che, in fondo in fondo, cristiani ed ebrei si incontravano spesso, i cancelli del ghetto non erano poi così invalicabili. Giorgio con passione difende il suo amore per Rachel, si giustifica, ma ovviamente l’Inquisizione non può lasciar correre. Per di più, il giovanotto viene pescato in recidiva (e vestito da ebreo, cioè con il copricapo giallo che li contraddistingueva). Finisce condannato a tre anni di galera. Galera, attenzione, nel senso di nave da guerra veneziana: tre anni di duro remigare per amore di Rachel.
Gianluigi Coltri
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