Da bambino salutavi con la mano le cose mute del mondo, i cartelli i semafori le biciclette i tetti delle case, in auto premevi il viso contro il finestrino chiuso, mi chiedevi di abbassarlo un poco, sporgevi appena la testa e tiravi fuori la lingua, l’aria che ti pizzicava le guance ti faceva ridere. Quando rientravi ti mettevi in ginocchio sul sedile, e dicevi ciao alle macchine dietro la nostra, a volte accadeva che qualcuno ti restituisse il saluto, o ti regalasse una faccia buffa, allora tu agitavi il braccio ancora piú forte, gli occhi che s’illuminavano, il miracolo del mondo che d’un tratto esisteva solo per te.
Da bambino credevi a tutto, agli alberi all’asfalto ai sassi ai bordi delle strade, al cielo alla pioggia ai gatti sdraiati al sole, ai due panini imbottiti a merenda e ai cartoni guardati insieme la sera, alle tue
buone intuizioni, alle mie buone intenzioni, all’immaginazione che conduce a un risultato, credevi a tua madre, credevi a me. Credevi in te.
Forse diventare grandi, in fondo, non vuol dire che questo: smettere di credere.
Forse per quello ora mi appari lontanissimo, anche se sei qui a un passo, raggomitolato in un letto come una conchiglia che affonda nella sabbia umida. Ti osservo dal letto accanto al tuo, cercando di
riconoscermi nelle tue braccia magre, nelle vene in evidenza, nelle spalle da sedicenne larghe ma fragili, nelle tue energie buie, nei tuoi silenzi esausti , nei tuoi occhi che sembrano temere la vergogna piú del fallimento, ma in cui brilla la rivendicazione di una scelta terribile.
Siamo Ulisse e Telemaco all’incontrario, il padre che attende il ritorno del figlio squassato dai flutti piú pericolosi, quelli delle aspettative disattese, dei sensi di colpa che piegano la schiena, del non sentirti all’altezza del mondo, del non sentirmi all’altezza di te.
(Matteo Bussola, “La neve in fondo al mare”, Einaudi, 2024)
Il veronese Matteo Bussola è un autore molto amato e seguito dai giovani. A me non ha sempre convinto, ma quest’anno ha presentato un bel libro, di quelli che fanno anche discutere.
“La neve in fondo al mare” parte con una citazione da “La strada” di Cormac McCarthy (ultimamente, sembra ricorrere spesso,questo romanzo inquietante e bellissimo) e di fatto la storia è molto centrata, come nel capolavoro americano, sul rapporto padre-figlio. Un padre disorientato dalla malattia del figlio adolescente: l’anoressia nervosa. La strada da percorrere è questa: andare avanti. Forse già questo è un successo, di fronte ad un giovane che non ha molta voglia di vivere.
Per la maggior parte, il libro è ambientato in un reparto di neuropsichiatria specializzato nei disturbi degli adolescenti : dalla ragazza bulimica a quella che si tagliuzza braccia e gambe, dal giovane scheletrico a quello che ha tentato il suicidio, c’è perfino un bambino di undici anni (ma dopo il lockdown si è abbassata l’età per i disturbi del comportamento, alimentare e non solo).
Bussola conduce il libro dalla parte dei padri e un po’ delle madri, forse sarebbe meglio dire: dei genitori. Gravati di sensi di colpa, terrorizzati da cambiamenti che non sanno decifrare e anche accettare, alle prese con una continua attenzione anche ai più trascurabili dettagli per non ferire la prole, padri e madri sono vitti me tanto quanto la loro progenie del disagio, aggrappati ai minimi segni di speranza tirano avanti. Se ne può uscire, è una maratona e non una corsa di cento metri, ma quanta sofferenza.
Un ritratto fedele del nostro tempo, dei nostri ragazzi, e anche di noi adulti , impreparati ma (più o meno: da genitori non ci si dimette) presenti.
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