Giovanni Papini, qualche decennio fa, raccomandava l’istituzione di cattedre universitarie di Ignotica, ovvero la scienza di tutto ciò che non sappiamo. Se avessimo seguito il suo consiglio, oggi lo studio dell’Ucronia avrebbe fatto più progressi.
E invece è ancora tutto da scrivere. Il termine stesso è poco noto. Gli esperti di fantascienza lo utilizzano di rado, gli storici quasi mai, e se fino alla fine del XIX secolo figurava nel Grand Larousse, nelle edizioni recenti è scomparso. È stato coniato nel 1876 dal filosofo francese Charles Renouvier, sul modello di quell’Utopia a cui, trecentosessant’anni prima, il Cancelliere d’Inghilterra Tommaso Moro aveva dato un nome destinato a maggior fortuna. A Utopia – dal greco ou-tópos: che non è in nessun luogo – corrisponde quindi Ucronia – ou-chrónos: che non è in nessun tempo. A uno spazio e, di conseguenza, a una civiltà, a leggi, a usi e costumi che esistono soltanto nella mente di legislatori e urbanisti insoddisfatti, si contrappongono un tempo e, di conseguenza, una storia altrettanto arbitrari. Il prefisso privativo, tuttavia, è fonte di confusione, e l’analogia fra i due approcci meno scontata di quanto possa sembrare.
Il testo fondamentale di Renouvier, intitolato “Ucronia”, ha due sottotitoli, uno giusto, l’altro meno. Quello giusto definisce in modo molto chiaro la disciplina che vorrei esaminare: “Schizzo storico apocrifo dello sviluppo della civiltà europea, non come è stato, ma come avrebbe potuto essere”. Proprio di questo si tratta: della storia se le cose fossero andate diversamente.
Quello meno giusto è “L’utopia nella storia”, formula che mi è spesso tornata utile per spiegare di cosa mi stessi occupando («L’ucronia è grosso modo come l’utopia, ma riferita al tempo» – «Ah, sì?»), ma che si presta a diverse obiezioni.
(Emmanuel Carrere, “Ucronia”, Adelphi, 2024, trad. Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco)
Libro curioso, anche per chi conosce Carrere e sa che può essere paradossale (come in “I baffi”), storico (“Limonov”) e persino teologico (“Il Regno”). La sua penna, sempre felice, qui si prende la briga di scomodare un tema filosofico che, come dice l’interessato, è stato assai poco trattato, cioè l’Ucronia, la storia come avrebbe potuto essere.
Forse, e più o meno involontariamente, siamo tutti un po’ ucronici, quando guardiamo indietro e cominciamo con i “se”: se avessi scelto, se fosse successo, se quell’altro non fosse venuto, se non fosse andato, eccetera. Forse è una delle forme della letteratura: romanzare il passato. Basta non crederci (e qui si apre la discussione).
Renouvier, citato e lungamente trattato da Carrere, si immagina che Napoleone vinca la campagna di Russia e poi tutte le altre battaglie e guerre, non finisca pertanto nè all’Elba nè a Sant’Elena. Così sfacciatamente vincente da scrivere veramente tutta un’altra storia (inventata).
Un altro autore a cui Carrere dà spazio è Roger Caillois, che in un libro che ho letto e riletto, “Ponzio Pilato” (Einaudi, 1982), si immagina che l’indeciso procuratore romano della Palestina non si lasci irretire dalle macchinazioni del sinedrio e dagli schiamazzi della folla e dunque liberi Gesù (e non Barabba). Così cambia tutta la Storia: il mite predicatore riprende il suo peregrinare, sempre con molto successo, morendo in tarda età. Pur godendo di grande considerazione e venerazione, Gesù fa la fine, per così dire, di tanti altri profeti. Non nasce il cristianesimo. Il gesto di imprevedibile coraggio di Pilato cambia tutto, davvero tutto.
Forse, tutto sommato, l’Ucronia non è solo un divertimento intellettuale per annoiati (nel libro di Caillosi, Pilato si annoia).
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