Buonasera, che bella serata estiva.
Ogni volta che rileggo le ultime righe di Da qui a lì di Brenner sento un tremito. Dunque non posso fare a meno di pormi la domanda: Davvero resta ancora tanto da dire?
La verità è che non ho molto da aggiungere, questa sera. Qualche mese fa ho pubblicato un piccolo libro intitolato Cari fanatici, dove ho provato a condensare il pensiero di una vita intera. L’ho fatto soprattutto per i miei nipoti. Dicevo loro: Il vostro nonno, tra quello che ha pubblicato e le manifestazioni a cui ha partecipato, è stato militante per molti anni. Adesso tocca a voi. Il nonno ora si limita a fare l’ausiliario. Si occupa di un magazzino viveri. Di un deposito armi. Ecco, questo libriccino è per voi, questa è la vostra munizione.
E così ho davvero cercato di spremervi dentro tutto quello che penso della piaga più terribile di tutto il Ventesimo e il Ventunesimo secolo, e non solo, qui e non solo qui: il fanatismo. Oltre a ciò che penso dell’ebraismo, non solo in quanto religione, non solo in quanto identità nazionale, ma come civiltà, come millenaria continuità di testi; e anche quel che penso dello Stato d’Israele, di dove stia andando e di dove potrebbe andare, perché davvero resta ancora tanto da dire.
Fra le cose che si trovano scritte in quel piccolo libro, ne menzionerò qui tre.
(Amos Oz, “Resta ancora molto da dire”, Feltrinelli, 2023, trad. Elena Lowenthal)
È l’ultima lezione dei Amos Oz, tenuta il 3 giugno del 2018, sei mesi prima della morte, del grande scrittore israeliano. Parla ai giovani, soprattutto, con la saggezza e la chiarezza che gli vengono dalla sua grande cultura, ma vorrei dire anche dalla sua capacità di osservazione e riflessione: davvero lo sguardo di uno scrittore sul mondo.
È uno sguardo politico: il primo tema che affronta, dei tre che si è proposto di svolgere, riguarda il rapporto tra palestinesi ed ebrei dei cent’anni di guerra che affliggono quella fetta di Medio Oriente. E, coerente con altre sue prese di posizione, sgombra il campo da pregiudizi e luoghi comuni e condanna entrambe le parti, che pretendono, entrambe, di risolvere la questione con la forza. “Nessuna ferita si cura col bastone”, ripete più volte, ma la ferita c’è, bisogna cercare di sanarla, e c’è solo il dialogo che può farlo.
La seconda questione è collegata con la prima: se non possono esserci due Stati che convivono (come Cipro, che porta ad esempio), allora che ce ne sia uno solo. Non può più esistere una minoranza ebrea, da qualche parte: come i cristiani, in particolari gli arabi cristiani, che al tempo dell’infanzia di Oz erano un quarto della popolazione e sono spariti. “Non è auspicabile essere una minoranza, qui. Non lo è da nessuna parte, men che meno in Medio Oriente”.
La terza questione, conseguenza delle altre due, riguarda la guerra. Anzi, le guerre: sia palestinesi che ebrei ne combattono due. La prima è di difesa della propria terra e della propria libertà, ed è legittima, la seconda è di invasione (da parte di Israele), o di eliminazione (da parte degli arabi).
Come tutti i libri di Oz, la realtà presente si mescola con il racconto e il ricordo, e anche questo piccolo ma succoso “Resta ancora molto da dire” non fa eccezione, anzi fa sentire ancora di più la mancanza di questo grande autore.
Gianluigi Coltri
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