DA FIGLIA A MADRE
Mia madre è morta lunedì 7 aprile nella casa di riposo dell’ospedale di Pontoise, dove l’avevo portata due anni fa. Al telefono l’infermiere ha detto: “Sua madre si è spenta questa mattina, dopo aver fatto colazione”. Erano circa le dieci.
Per la prima volta la porta di camera sua era chiusa. Le avevano già fatto la toilette, una fascia di tessuto bianco le stringeva il capo, passando sotto il mento, corrugandole tutta la pelle attorno alla bocca e agli occhi. Era coperta fino alle spalle da un lenzuolo, le mani nascoste. Sembrava una piccola mummia. Ai lati del letto c’erano ancora le sbarre sistemate per impedirle di alzarsi. Ho voluto infilarle la camicia da notte bianca, orlata di merletto, che tempo prima aveva comprato per la sua sepoltura.
L’infermiere mi ha detto che se ne sarebbe occupata un’inserviente, avrebbe pensato anche a posarle sul petto il crocefisso che era nel cassetto del comodino. Erano venuti via i due chiodi che fissavano le braccia d’ottone sulla croce, l’infermiere non era certo di riuscire a ripararlo. Non aveva importanza, ciò che contava, per me, era che a-vesse il suo crocefisso. Sul carrellino c’era il vaso con i ramoscelli di forsizia che avevo portato il giorno prima. L’infermiere mi ha consigliato di recarmi subito all’ufficio di stato civile dell’ospedale. Nel frattempo avrebbero inventariato gli effetti personali di mia madre. Non aveva quasi più nulla di suo, un tailleur, delle scarpe estive blu, un rasoio elettrico. Una donna si è messa a urlare, la stessa da mesi. Lei era ancora viva ed era morta mia madre, non lo capivo.
(Annie Ernaux, “Una donna”, L’Orma, 2018)
Ecco uno dei romanzi breve di Annie Ernaux, premio Nobel per la letteratura 2022. Non deve ingannare la brevità: i testi della scrittrice francese sono sempre molto densi, pieni di particolari e di dettagli. Ed è comunque l’essenziale, per capire, per confrontarsi. Una scrittura asciutta, scarna, ma densa, concentrata.
Se ne “L’evento” (il primo e forse il più famoso) era lei, in prima persona, a parlare di sè e della sua drammatica esperienza con l’aborto, qui protagonista è la madre di Annie Ernaux. Si parte dalla famiglia, dalle origini umili, per andare alla faticosa ascesa sociale, di cui la stessa Ernaux è simbolo
(avendo studiato all’università).
Ernaux non nasconde niente, non glissa, non esclude: scrive il libro per elaborare, finalmente, il lutto per la perdita. Ma io penso che con l’interessata in vita sarebbe stato problematico raccontare così dettagliatamente vita morte e miracoli.
È sempre difficile raccontare le proprie cose, anche mascherandole sotto i veli della finzione o dell’invenzione romanzesca. Raccontare direttamente come stanno le cose, mi pare anzitutto un atto di coraggio, di cui io per esempio non sarei capace.
Nobel meritato, per una volta tanto? Mi pare di poter dire di sì. Non posso non sottolineare l’assenza dell’Italia, da venticinque anni, dal Nobel per la letteratura. Meritatamente, visto quello che gira da noi. Amen. Ci consoliamo con Ernaux, che però consolatoria non è, mai.
Gianluigi Coltri
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