Padri e figli, il Banco è un gruppo storico con radici negli anni ’70. Icona italiana del prog-rock grazie ai primi due album “salvadanaio” che oggi vede solo Vittorio Nocenzi come grande componente della vecchia guardia il cui piacevole destino è quello di passare il testimone di una importante eredità musicale. I nuovi hanno fatto una scelta ben precisa (già vista con il primo album del nuovo corso “Transiberiana”), quella di riproporre l’anima sinfonica dei primi anni ’70. Scelta che approvo visto il risultato ottenuto con il primo album del 2019. In questo “Orlando” il gruppo riesce a portare la qualità molto più in alto forte di un’opera “concept” concentrata sulla figura di Orlando (e questo per onorare il primo album uscito 50 anni fa). Come già scritto musicalmente è riuscitissimo lo sforzo di riportare a vita il sound e la creatività dei vecchi tempi. L’impressione di un salto nel tempo (indietro) è veramente forte e – ancora meglio – non si respira nessuna scontata e banale operazione nostalgia, è evidente che i musicisti hanno attinto al passato con i piedi ben ancorati al presente e con lo sguardo al futuro. Gli ingredienti ci sono tutti e questo è un album profondo il cui ascolto non deve essere rapido e limitato ad un turno. Si sente – e la colpa non è di nessuno – la grandissima mancanza del cantante Di Giacomo: i cantanti che si alternano sono sicuramente capaci ma non mi convincono appieno, purtroppo questo diventa un piccolo ma evidente difetto.
Voto 8,5: un ulteriore passo in avanti rispetto all’album del 2019, un album che deve essere riascoltato più volte per godere di tutti i particolari curati da questo gruppo di musicisti che – onore a loro – garantiscono vita ulteriore ad un’icona della musica italiana. Come precedentemente, non convincenti le voci. Un super cantante potrebbe garantire il definitivo salto di qualità dell’ensemble.
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Fabio Ranghiero
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