Una Gallina disse ar Pappagallo:
― Tu forse parlerai senza rifrette,
ma oggiggiorno la bestia che sa mette
quattro parole assieme sta a cavallo;
t’abbasta d’aprì bocca e daje fiato
pe’ mette sottosopra er vicinato.
Io, invece, che je caccio un ovo ar giorno
e Dio sa co’ che sforzo personale,
io che tengo de dietro un capitale
nun ciò nessuno che me venga intorno,
nessuno che m’apprezza e che me loda
la mercanzia che m’esce da la coda!
Fra poco, già lo sento, farò un ovo:
ma visto che’ sto popolo de matti
preferisce le chiacchiere a li fatti,
je lo vojo scoccià mentre lo covo…
Anzi, pe’ fa’ le cose co’ giudizzio,
lo tengo in corpo e chiudo l’esercizzio!
(“La Gallina lavoratora”, di Trilussa, da “Tutte le poesie”, Mondadori, 2004)
A Carlo Alberto Salustri, meglio conosciuto come Trilussa, dovremmo ormai trovar posto nei classici: nella sua sapida vena poetica, immersa nella romanità (sia di linguaggio che di contesto), le bacchettate ironiche e le critiche sociali, politiche e culturali vanno ben oltre il suo tempo e tracimano, anzi dilagano nel nostro tempo. Nell’autunno del 2021 ricorrevano i 150 anni dalla sua nascita, dunque riproporlo e ricordarlo è anche buon esercizio letterario, non solo di costume.
La gallina, cantavano Cochi e Renato, non è un animale intelligente, e lo si capisce da come guarda la gente. La Gallina (con la G maiuscola) di Trilussa, invece, sarà anche ‘na poveraccia de lavoratora, ma ha dignità e senso del mondo. Nella sua concretezza, visto come vanno le cose (“sto popolo de matti preferisce le chiacchiere a li fatti”), sta valutando uno sciopero vero e proprio, visto che “nun ciò nessuno che m’apprezza e che me loda / la mercanzia che m’esce da la coda”.
Eppure, guardate come gioca con la lingua Trilussa: la parola “chiacchiera” è onomatopeica e deriva, secondo alcuni, dallo schiamazzare delle galline. Ma nella poesia di Trilussa è il resto del mondo che chiacchiera, e non conclude, o rovina, o non sa vedere e valutare, ingannato dalle apparenze. La gallina muta, che non canterà perchè non ha fatto l’uovo, è la rivolta della maggioranza silenziosa.
Ce n’è di che riflettere sul nostro tempo e sulle troppe chiacchiere che al bar di internet o a quello della piazza, incitano, aizzano, confondono, straparlando a vanvera (altra bella parola: sta per “parlare senza sapere ciò che si dice”). Salvo poi rifugiarsi in “non intendevo dire questo”, “mi sono spiegato male”, “sono stato frainteso”. Ma se ne stessero zitti una buona volta! A proposito: “zitto”, altra onomatopea, riprende il suono della bocca che fa “ssst”. Insomma, per far tacere bastano i gesti, non occorrono parole.
Gianluigi Coltri
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